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GOMORRA Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 30 luglio 2008
 
di Matteo Garrone, con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo (Italia, 2008)
 

Uscita nelle sale piuttosto sorprendente, in tempo di grotti, di una delle migliori notizie giunte da Cannes 2008: quella di un'Italia che riapprende a far cinema. Cosa più importante (non dimentichiamoci infatti de IL DIVO di Paolo Sorrentino), a guardare in sé stessa. Esemplare oltre ogni dire, in questo senso, il film che Matteo Garrone ha tratto dal libro di ormai enorme successo di Roberto Saviano. Gomorra, la città distrutta per l'ampiezza biblica dei propri misfatti, richiama Camorra: eppure questo termine, e neppure quello di Mafia, non viene mai pronunciato nelle due ore e passa del film dell'autore del non dimenticato L'IMBALSAMATORE. Non un Padrino, un picciotto, un "goodfellas" come li chiamano in America Al Pacino o De Niro. E non a caso la forza del film sta proprio nel suo non detto; nella denuncia del crimine generalizzato del Napoletano che passa attraverso l'evidenza “naturale” delle immagini: non su una loro ricostruzione drammatica, come sarebbe avvenuto in uno dei capolavori di Francesco Rosi. Film a suo modo corale, è pur vero che GOMORRA finisce per privilegiare alcuni filoni narrativi: Totò, il ragazzino che assumerà un apprendistato alla violenza ed alla delazione sempre più atroce; Don Ciro, incaricato di raccogliere le mazzette; il laureato che si ribella allo smaltitore di rifiuti tossici interpretato da Toni Servillo, un sarto che sfida il sistema degli appalti andando ad istruire i clandestini cinesi dell'alta moda, i due balordi che s'improvvisano duri alla Bogart finendo come era fin troppo prevedibile. Ma non sono tanto i destini individuali a contare, quanto quelli sociali e antropologici: così, un po' alla maniera di PAISA', è il quadro d'assieme ad imporre un discorso che si allarga oltre ogni confine.

L'assenza di un vero e proprio intervento drammaturgico minaccia per un istante di creare dispersione, ma finisce al contrario per focalizzarsi sulla realtà. Forse più lontana dalle regole dello spettacolo, ma tanto più vicino alla vita. Quegli omicidi uno Scorsese li avrebbe preparati in un crescendo espressivo, in un'architettura di interventi (ormai quasi scontati) destinata a sfociare nell'atto esecrabile, ma comunque spettacolare. Nel film di Garrone le armi degli assassini sbucano all'improvviso e altrettanto subitaneamente scompaiono da dove sono venute. Da dove? Nel lasciare in un sottofondo incombente e generalizzato l'origine del Male, Garrone denuncia uno stato cronico di disgregazione sociale e di disperazione morale. Sono cellule impazzite di un mosaico quasi assemblato casualmente, senza procedimento di continuità: portatrici al contrario di un'esigenza di verità, di un'urgenza di denuncia civile che meglio non potrebbe tradurre quella della pagine di Saviano. Così quelle mani non sono più, come nel celebre film di Rosi, solo su Napoli, ma su tutte le città.

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Rather surprising theatrical release, in grotti time, of one of the best pieces of news to come out of Cannes 2008: that of an Italy that is once again learning to make films. More importantly (let us not forget Paolo Sorrentino's IL DIVO), to look within itself. Exemplary beyond words, in this sense, is the film that Matteo Garrone has made from the now hugely successful book by Roberto Saviano. Gomorra, the city destroyed for the biblical magnitude of its misdeeds, recalls Camorra: yet this term, and not even that of Mafia, is never uttered in the two and a half hours of the film by the author of the not-to-be-forgotten L'IMBALSAMATORE. Not a Godfather, a picciotto, a 'goodfellas' as Al Pacino or De Niro call them in America. And it is no coincidence that the film's strength lies precisely in its unspokenness; in the denunciation of the generalised crime in the Neapolitan area that passes through the natural evidence of the images: not on a dramatic reconstruction of them, as would have happened in one of Francesco Rosi's masterpieces. A choral film in its own way, it is true that GOMORRA ends up favouring certain narrative strands: Totò, the young boy who will take on an apprenticeship to violence and increasingly heinous delusion; Don Ciro, in charge of collecting the bribes; the graduate who rebels against the toxic waste disposer played by Toni Servillo; a tailor who challenges the contracting system by going to instruct the Chinese clandestine haute couture workers; the two bumbling thugs who improvise themselves as tough guys à la Bogart, ending up as was all too predictable. But it is not so much the individual fates that count, as the social and anthropological ones: thus, a little in the manner of PAISA', it is the overall picture that imposes a discourse that extends beyond all boundaries.

The absence of any real dramaturgical intervention threatens for a moment to create dispersion, but ends up focusing on reality instead. Perhaps more distant from the rules of the play, but all the closer to life. Those murders would have been prepared by a Scorsese in an expressive crescendo, in an architecture of interventions (now almost taken for granted) destined to result in the execrable, but nevertheless spectacular act. In Garrone's film, the murderers' weapons suddenly appear and just as suddenly disappear from whence they came. From where? In leaving the origin of Evil in a looming and generalised background, Garrone denounces a chronic state of social disintegration and moral despair. They are crazed cells of an almost randomly assembled mosaic, without a continuity process: bearers, on the contrary, of a need for truth, of an urgency of civil denunciation that could not better translate that of Saviano's pages. Thus those hands are no longer, as in Rosi's famous film, only on Naples, but on all cities.


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